domenica 9 luglio 2017

Discipline - Captives Of The Wine Dark Sea (2017)


Dopo un lungo periodo di pausa i Discipline erano tornati sulla scena progressive rock nel 2011 con l'album To Shatter All Accord. Nel frattempo il loro leader Matthew Parmenter ha continuato un'apprezzata carriera solista che lo ha portato a pubblicare lo scorso anno All Our Yesterdays. Captives Of The Wine Dark Sea segna il quarto capitolo in studio della band di Detroit e questa volta ci sono abbastanza novità per chi già conosce il gruppo. L'album esce sotto l'egida della Laser's Edge ed è il primo a non essere pubblicato tramite l'etichetta personale dei Discipline (la Strungout Records) che ha accompagnato tutte le loro uscite, in più alla chitarra abbiamo Chris Herin dei Tiles al posto del membro storico Jon Preston Bouda. La presenza di Herin deve aver portato anche al contatto con lo noto produttore dei Rush, Terry Brown, che ha già collaborato con i Tiles in passato. Il 2017 si appresta inoltre ad essere un anno importante per i Discipline in quanto, dopo anni di attività, si esibiranno per la prima volta in Italia sabato 2 settembre al festival prog di Veruno. Mentre il giorno prima, il 31 agosto, vedrà l'esibizione in solitaria di Matthew Parmenter a Roma presso l'Auditorium Lo Sciamano Music School.

Infine, arriviamo alla parte più importante che riguarda il contenuto di Captives Of The Wine Dark Sea: se To Shatter All Accord, come avevamo detto nella recensione, riprendeva qualche brano del passato rimasto nei cassetti per dargli una pubblicazione ufficiale, Captives Of The Wine Dark Sea segna un capitolo veramente nuovo ed inedito per i Discipline, dato che qui sono contenuti pezzi nuovi di zecca. Anche la struttura e l'indirizzo musicale dell'album cambiano di conseguneza, lasciando marginalmente la preponderante influenza dei Van der Graaf Generator, ad eccezione della notevole The Body Yearns, la quale, insieme alla lunga traccia di chiusura Burn the Fire Upon the Rocks, rappresentano una cornice di pièce de résistance a largo respiro che racchiude tra i propri confini una collezione di pezzi dalla durata e ambizione più contenuta. Certo, lo spirito del nume tutelare di Parmenter è ancora Peter Hammill nei riff sinistri (ma che ti si stampano in testa) di Life Imitates Art, comunque il resto dell'album si distacca abbastanza da tali canoni, riallacciandosi invece ad una certa vena più diretta che era propria di alcuni episodi dell'esordio Push and Profit del 1993, soprattutto nella ballad Love Songs e nel rock standard di Here There is No Soul. Stupisce poi la presenza di addirittura due numeri strumentali come S e The Roaring Game: la prima drammatica e marziale con un incedere reiterato alla King Crimson, la seconda (molto meglio) sembra quasi far parte di qualcosa di più grandioso, ma è comunque un ottimo ritorno alle arie dark prog dei Discipline. Captives Of The Wine Dark Sea si può definire quindi un album con due anime, dove sicuramente ad uscirne vincente è quella progressiva.

 

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